Il fenomeno di nome Giorgia
L' ascesa di Giorgia Meloni non è una sorpresa, è la conseguenza logica e disgustosa del fallimento totale di tutto ciò che è venuto prima.
Per anni, gli italiani hanno provato ogni opzione sul menù:
hanno votato i tecnici (Monti, Draghi) e si sono sentiti commissariati;
hanno votato i populisti puri (il Movimento 5 Stelle) e hanno visto il loro dilettantismo trasformarsi in piacere di potere;
hanno votato la Lega di Salvini e lo hanno visto bruciarsi al sole del Papeete;
hanno votato la sinistra e l'hanno vista parlare solo a se stessa, ossessionata da diritti che non riempiono il frigorifero.
In questo cimitero di speranze tradite, la Meloni (che io aborro) è l'unica che è rimasta in piedi tra gli ultimi governi di unità nazionale.
Non ha fatto nulla perché era all'opposizione e, in un paese dove governare significa diventare complici del disastro, non fare nulla è diventato un certificato di verginità politica.
Il suo "urlare e sbraitare" non è la sua arma più potente. Mentre gli altri politici parlano un burocratese incomprensibile o si perdono in ragionamenti complessi, lei urla slogan, tipo: "Dio, Patria, Famiglia".
Sono concetti semplici, che vanno a colpire direttamente la pancia di un elettorato spaventato, impoverito e che non capisce più il mondo in cui vive.
Non offre soluzioni, offre un'identità. Vende un nemico chiaro (l'immigrato, l'Europa, la lobby LGBT) e una cura semplice (la chiusura, la tradizione, la forza).
La gente non la vota per il suo programma economico, che è un libro dei sogni irrealizzabile, la vota perché il suo linguaggio è violento ma diretto come la loro rabbia.
È un voto puramente emotivo, un gigantesco dito medio alzato contro un sistema che li ha ignorati e umiliati per decenni.
La verità cruda è che gli italiani non stanno scegliendo un leader, stanno scegliendo un ariete per sfondare la porta del palazzo.
Non si chiedono cosa farà dopo, perché la loro rabbia è così cieca che l'unica cosa che conta è la distruzione del presente.
La Meloni non è un'eccezione, è la regola di un ciclo patologico italiano. Si prova una cura, quella fallisce e allora ci si butta sulla cura diversa, sperando che funzioni.
È la politica del "proviamo, tanto peggio di così non può andare".
È un voto di disperazione, non di speranza e come tutte le scelte fatte con la disperazione, è destinata a concludersi con un risveglio ancora più amaro.
SalVitSan


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