Meloni alla casa bianca

La visita ufficiale della Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, alla Casa Bianca è stata, almeno in superficie, un esercizio di sopravvivenza politica più che un trionfo diplomatico come dicono un po' tutti i media.

Se il bilancio del viaggio viene definito "positivo" è solo perché la premier è riuscita a evitare il destino del presidente ucraino Zelensky, ridicolizzato pubblicamente da Donald Trump in più occasioni. 

Ma al di là delle rassicurazioni di facciata, il viaggio ha messo a nudo le fragilità dell’Italia nello scacchiere internazionale e i limiti dell’appeal di Meloni presso l’amministrazione americana.

Quello che più mi colpisce, rileggendo le immagini dell’incontro, è che la premier, abile nel destreggiarsi tra le insidie della politica domestica, ha dimostrato di saper gestire le rade domande della stampa statunitense (peraltro poco interessata alle dinamiche europee), ma non è riuscita a ottenere alcun risultato concreto.

Compito della visita era di dimostrare vicinanza a Trump e ottenere un incontro tra il presidente USA e la presidente della Commissione Europea. 

Sul primo punto, Meloni è riuscita a strappare poco più di un cenno di assenso: forse ci sarà, da parte di Trump, un viaggio in Italia, ma senza impegni precisi. Sul secondo punto, il muro è stato insormontabile. L’amministrazione americana, da sempre critica verso Bruxelles, non ha alcuna intenzione di legittimare Von der Leyen con una foto ufficiale alla Casa Bianca. Un segnale chiaro: l’Italia può essere un alleato utile, ma non abbastanza influente da mediare tra Washington e l’UE.

Al netto delle strette di mano e dei convenevoli, il viaggio di Meloni lascia ben poco sul tavolo. Nessuna svolta sulle politiche migratorie, nessun accordo economico di rilievo, nessuna garanzia sul sostegno americano alle priorità italiane in Europa. Persino sulla questione ucraina Trump ha preferito ribadire la sua linea isolazionista, lasciando la premier senza argomenti da portare a casa.

Meloni torna in Italia con un bagaglio leggero: qualche rassicurazione generica e la consapevolezza che, nell’era di Trump, l’arte della diplomazia si riduce spesso all’abilità di evitare umiliazioni pubbliche. 

La vera domanda è se questo basti a giustificare i proclami di "rinnovato prestigio internazionale" che vengono sbandierati in Italia. 

In un mondo sempre più dominato dai rapporti di forza, l’Italia rischia di essere sempre più marginale – e questa visita ne è stata l’ennesima conferma.

Commenti

  1. Pensare che l'Italia - un Paese caratterizzato da corruzione, mafie, nanismo politico, arretratezza tecnologica, burocrazia asfissiante, giustizia malfunzionante, accesso al credito problematico, politica autoreferenziale, poco senso civico - possa ambire anche solo a non peggiorare la propria posizione, è pura fantasia. Ciò detto, se ci liberiamo della zavorra della nostra nazionalità per confluire in un'Europa veramente unita invece saremmo la prima economia mondiale.
    Però i sovranisti trovano più soddisfacente guardarsi l'ombelico mentre affondiamo, cullandosi in vani sogni di gloria...

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