Amarcord

Hei, dico a te, 70enne o quasi che mi leggi, ti ricordi?

Chiudi gli occhi… torna indietro; entra in una di quelle piccole foto in bianco e nero che abbiamo tutti in qualche scatola riposta in chi sa quale angolo di quale scaffale, dove sorridi, un po’ sbiadito….

Gli inverni col passamontagna di lana sulla testa e le ginocchia scoperte dal cappottino corto.

La lana che pungeva.

Le scarpe da tennis azzurre con la punta bianca. Niente marche diverse, modelli diversi, colori assortiti. (Buongiorno, mi dia un paio di scarpe da tennis).

Le bambine con il grembiulino bianco e il fiocco; i maschietti con il grembiule nero o blu e i colletti di celluloide.

Il patriottismo, con le bandiere tricolori che sventolavano fiere nei libri delle elementari.

La Grande Storia: Enrico Toti che lancia la stampella; Giuseppe Garibaldi che dice “Obbedisco”.

La griglia tracciata per terra con il gesso e saltellata con un piede;

La fionda; le cinque pietre; il cerchio; la tavola con i cuscinetti come ruote.

La Fiera con le mucche, i trattori e lo zucchero filato.

I parenti alla stazione che salutavano con i fazzoletti; le valige di cartone chiuse con lo spago; i fiaschi di vino che fuoriuscivano dalle borse.

I negozi alimentari con gli armadi con i cassetti per la pasta e i legumi sfusi.

Le macellerie con solo carne appesa ai ganci e sul pavimento le gocce di sangue.

Le latterie col latte sfuso, i misurini da 1 litro, da mezzo, da un quarto, le mosche vaganti.

Il latte che si faceva bollire e faceva la panna da togliere col cucchiaino.

Le bilance rosse con i pesi.

I negozianti che facevano i conti a matita sulla carta per avvolgere.

La vicina che, dopo la spesa, mormora:- lo segni.

Le mamme che si affacciavano alla finestra e ci chiamavano per cena.

Le bottiglie “vuoto a rendere”. Le borse della spesa o le retine.

Le farmacie che vendevano soltanto medicine serie e amare in confezioni austere. Il Vicks Vaporub da spalmare sul petto quando eri affetto dal raffreddore.

Le uova crude di giornata avvolte nella carta di giornale una per una, da bere con i due buchini all’estremità.

Le iniezioni. Il bollitore della siringa che gorgogliava sul fornello. L’ago grosso che faceva proprio male.

L’alcool, detto anche spirito; bruciava maledettamente sui graffi alle gambe e alle braccia, dovuti a capitomboli dalle bici, ma fondamentale per scongiurare il tetano. Unico rimedio al bruciore:- Soffia!

Le visite a casa di parenti e conoscenti, senza nessun preavviso. Del resto non tutti avevano il telefono. Ai bambini in visita, gli adulti riservavano due o tre frasi fatte, del tipo:- Come sei diventato grande!-; Che bellina!-; (a Natale):- Cosa ti ha portato Gesù Bambino?-; (a Pasqua):- Cos’hai trovato nell’uovo?; (ai figli unici):- Non lo vorresti un fratellino?.

La colazione fatta con pane inzuppato nel latte.

La tovaglia bianca la domenica;

I papà in canottiera bianca che si facevano la barba e con la faccia piena di schiuma intonando canzoni popolari.

Il PCI con la falce e il martello, la Dc con lo scudo crociato.

Le pulizie di Pasqua e di Natale, dove le mamme spostavano i mobili e lucidavano col “Sidol” ogni cosa metallica e scacciavano la polvere a colpi di battipanni.

La cera “Liù” che serviva per pattinare in casa.

Chi non aveva il “Permaflex” una volta l’anno scuciva i materassi e, tutta la famiglia, lavorava per dipanare la lana e renderla di nuovo soffice e vaporosa.

E le minacce del babbo con la cinghia, per la formazione del carattere di noi ragazzi.

La serata in cui mamma contava i punti “Miralanza”.

Le palline puzzolenti di naftalina che si mettevano tra la roba da conservare.

Il sano, tremendo odore di varechina nelle scale appena lavate.

Il mitico bigliettaio del pullman che bucava i biglietti e aveva una borsa di pelle nera a tracolla.

La lentezza… la calma… il silenzio…


Che nostalgia!

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