L'importanza del sapere

Non c’è pensiero senza parole e non c'è spirito critico senza pensiero.

Cinquant’anni fa un ginnasiale conosceva in media 1600 parole; oggi, un diplomato vero (non quelli di Grandi Scuole o dei diplomifici vari), non ne conosce più di 500. 

È una cosa grave!

Ricordate le sirene del mito Ulisse? Con il loro canto seducevano i marinai e li spingevano a gettarsi in mare. Perché ci riuscivano? Perché le loro parole erano così persuasive da ingannare gli uomini. 

Ricordate il latinorum di Don Abbondio, il linguaggio forbito dell’Azzeccagarbugli? Tutti questi personaggi hanno una cosa in comune: distraggono, sviano, ingannano. Ma riescono ad avere la meglio sugli altri perché sanno parlare.

Quando prendo in mano un giornale o leggo un libro pubblicato di recente, mi prende spesso una gran rabbia, perché questi articoli e questi libri sono scritti come se noi lettori avessimo sei anni o fossimo preda di un istupidimento collettivo! L'importante, per chi scrive, è che siano facilmente comprensibili. Sbagliato! Perché oggi, non mi stancherò mai di ripeterlo, i ragazzi hanno bisogno di conoscere più parole, perché non puoi esprimere ciò che hai dentro e non puoi dare voce al tuo dissenso se non hai le parole per farlo. 

E a coloro che sostengono la necessità di semplificare il linguaggio, magari abolendo la punteggiatura, voglio rispondere con questa frase del poeta Julio Cortàzar: 

«Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha, la donna andrebbe continuamente alla sua ricerca.» 

Se però adesso sposto la virgola dopo la parola donna, una semplice virgola che molti reputano inutile come lo studio della grammatica e della letteratura, guardate come cambia la frase: 

«Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha la donna, andrebbe continuamente alla sua ricerca.»

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